Sensibilità democratica

Meglio lasciar perdere la riforma

Difficile che si possa a dar torto a Pier Luigi Bersani quando ha ricordato, ai microfoni di Radio anch’io, che sulle riforme “c’è il libero convincimento di senatori che, davanti a temi costituzionali, non possono essere richiamati a una generica disciplina di partito”. E non si tratta nemmeno solo del fatto che nella storia di Italia nessun partito si è mai richiamato alla disciplina davanti alla Costituzione, quanto della necessità di una convinzione condivisa e profonda sulla carta fondante dello Stato che impegna la vita e le aspettative di tutti i suoi membri. È vero che non è colpa di Renzi se nella maggioranza non ci se rende pienamente conto di quale strada si stia imboccando tanto che l’onorevole Bersani ha dovuto ricordare l’importanza di una soluzione condivisa e non di arrivare ad una prova di forza. Purtroppo ci un fu un precedente proprio come un governo di centrosinistra, quello di Giuliano Amato nel 1999 a pochi mesi dalla fine della legislatura impose una riforma della costituzione a colpi di maggioranza. Nel 2005 il centrodestra pensò di fare altrettanto e fu fermato solo da un referendum popolare. Questi due episodi smentirono nella sostanza la metodologia costituzionale scelta nel secondo dopoguerra ovvero quella dell’Assemblea costituente. Poiché fallirono le bicamerali sulle riforme e non si avvertiva l’esigenza di un’ampia coesione nazionale sulle modifiche della Carta, se ne proposero anche di bizzarre, ciascuna coalizione ha pensato di poter procedere da sé, pur tenendo un qualche contatto indiretto con il campo avversario, in nome di una generica condivisione. A dir il vero infatti, il progetto di riforma di Renzi è molto simile proprio a quello allestito da Calderoli per conto del centrodestra nel 2005. Quello che è completamente rivoluzionario è che il progetto di riforma del centrodestra fu elaborato e discusso dall’insieme delle forze della coalizione, quello di Renzi è contestato all’interno del suo stesso partito. Non si riesce quindi a capire come sia possibile che un governo pretenda di modificare la Costituzione non solo a colpi di maggioranza, ma con una parte rilevante del suo partito decisamente contraria che deve essere costretta ad uniformarsi per disciplina. Noi non ci siamo mai messi a dire come altri contestatori del progetto di riforma di Renzi che fosse precursore di una dittatura ed altre amenità che ricordano le dichiarazioni della sinistra italiana nel 1958 davanti alle riforme di De Gaulle in Francia. Ci limitiamo a far presente che una sensibilità democratica sufficiente davanti queste difficoltà dovrebbe fare immediatamente abbandonare il progetto.

Roma, 8 settembre 2015